La Germania in soccorso a Pompei

di Romina Ramaccini

Ci risiamo: noi italiani “ignoranti”, ancora una volta, ricorriamo all’aiuto di altri stati per salvare il nostro patrimonio. Da anni si ripete sempre la stessa antifona nel momento in cui, piano piano, mandiamo al macero, senza intervenire adeguatamente, ciò che può fruttarci. Già in alcuni scritti, sottolineai l’elevata importanza nell’investimento e nella promozione dei beni culturali, confermata da statistiche che affermano: un paese che investe nella cultura, è un paese più ricco. Questa volta è la Germania a soccorrerci, lei, che con i suoi 10 milioni di euro, “attuerà un programma decennale di restauri e ricerca sui materiali antichi da utilizzare per la costruzione del sito vesuviano”.

Il progetto “Pompei Sustainable Preservation Project” partirà da settembre 2014 e per 10 anni attuerà un restauro radicale di tutte le strutture presenti nel sito di Pompei. Giardini, coperture, sistema fognario e smaltimento delle acque piovane: insomma, nulla sarà tralasciato affinché Pompei non venga seppellita per la seconda volta. Assieme a questo intervento di restauro, non meno rilevante è la nascita, dal 2015, della summer school, una scuola dove verranno formate annualmente 510 persone che dovranno affiancare i più esperti in questa grande impresa. Insomma, oltre a darci i soldi, ci offrono anche la formazione ed il lavoro.

Per nostra fortuna però qualcosa di italiano (oltre al sito in questione!!) c’è: il partner dell’impresa colossale è il CNR che partecipa assieme all’Ibam (Istituto per i beni archeologici e monumentali) e uno dei promotori è l’ Iccrom, il centro studi per il restauro affiliato all’Unesco. La collaborazione degli enti coinvolti, con il lavoro della Soprintendenza per i beni archeologici di Pompei e l’Istituto superiore per la conservazione e il restauro, cercheranno di far divenire Pompei un centro di ricerca sulla conservazione dell’architettura antica.

Ed ora cosa dovremmo fare? Ringraziare chi, contrariamente a noi, ha occhi per vedere e cervello per pensare ed “augurarsi che il nostro patrimonio non vada in mano allo straniero”, come lo stesso Brandi, già consapevole delle mancanze e della scarsa attenzione rivolta ai nostri beni culturali, affermava negli anni Sessanta.