Lettere al Direttore: ancora sui veglioni di Carnevale a Tarquinia

di Carla Valdi

Scrivo sul carnevale degli anni cinquanta e sessanta, a completamento di un articolo di Anna Alfieri. La preparazione iniziava un mese prima con la scelta della stoffa per l’abito da sera e conseguente ricerca della sarta per la confezione, ma anche con il prestito di uno scialle adeguato.

Quando si diffondeva la notizia che stavano togliendo le viti alle seggiole del Cinema Etrusco per liberare la sala, significava che il momento era arrivato e le ragazze si preparavano con santa rassegnazione a passare un intero pomeriggio dal sor Armando Brunori per farsi la testa, come si diceva, cioè i capelli. Dopo le dieci di sera, tassativamente, si faceva l’ingresso al Cinema con molta emozione, sulle note dell’amata orchestra Aurora. La galleria era riservata a parenti e anziane zitelle per i commenti dall’alto.

Al veglione ci si andava per ballare soprattutto perché le discoteche non le avevano ancora inventate. Verso la mezzanotte l’orchestra gentilmente annunciava di andare a pappau e anche il pubblico si fermava. Disotto i tavoli spuntavano bibite e fiaschi di vino e sopra i tavoli grandi vassoi pieni di ravioli alla ricotta in mezzo ai quali c’è n’era sempre uno pieno di segatura, e a chi toccava, toccava, senza offesa. La festa finiva verso le due di notte.

Ho dei ricordi belli e divertenti. Una sera uscimmo che era nevicato, con la neve alle caviglie, un freddo cane e i tacchi delle scarpette eleganti che affondamento nel gelo. I veglioni servivano a far conoscere i giovani, rinsaldare il senso della società e sviluppare i sentimenti. Inoltre nessuna ragazza poteva rifiutare un invito al ballo di chiunque senza passare per maleducata.

I più belli sono stati i veglioni buttereschi in maschera pieni di gente all’ inverosimile. In uno di quelli una nostra amica un po’ avanti con gli anni, ma sempre bella, ricevette una dichiarazione d’amore in ginocchio da parte di un militare in borghese che aveva bevuto qualche bicchiere di troppo. Facemmo finire tutto con l’ immancabile trenino. Il momento clou delle serate era l’ elezione della miss, mia cara miss. Le giovani si rassettavano i capelli e gli abiti nell’attesa della fascia ricordo, ma paventando le critiche e i pettegolezzi.

Una volta gli organizzatori cercarono mio padre per dirgli che la miss prescelta sarei stata io. Il mio caro papà li fulminò con lo sguardo e fece seguire minacce di ogni genere. I malcapitati capirono al volo e tutto finì lì. A me del resto poco importava, a me interessava ballare con un ragazzo, poi divenuto mio marito, che, bravissimo ballerino, mi aveva insegnato perfino il valzer doppio puntato o come si chiamava. Carnevali di mezzo secolo fa. Mezzo secolo?