In cucina con Vittoria: il carciofo, ecco come cucinarlo

di Vittoria Tassoni

Originario del Medioriente, il carciofo selvatico ha costituito fin dall’antichità un prodotto importante per i fitoterapisti di Egizi e Greci, già nel IV sec. a.C. era coltivato dagli Arabi che lo chiamavano “karshuf” (o kharshaf), da cui l’attuale termine.

Nello stesso periodo Teofrasto nella “Storia delle piante” parla di “cardui pineae” che per caratteristiche di forma, proprietà e virtù sarebbero assimilabili ai nostri carciofi.

L’uso del carciofo selvatico lo conoscevano gli Etruschi, che lo usavano addirittura per cagliare il formaggio; a Roma, invece, si conosceva con il nome latino di Cynara e i romani li apprezzavano lessati in acqua o vino.

La coltivazione del carciofo da noi conosciuto venne introdotta in Europa dagli Arabi sin dal ‘300, all’inizio nelle zone di Napoli poi in Toscana e, successivamente, in molte altre regioni. Nella pittura rinascimentale italiana, il carciofo è rappresentato in diversi quadri: “L’ortolana” di Vincenzo Campi, “L’estate” e “Vertumnus” di Arcimboldo.

Il carciofo dapprima non godette di un eccessivo favore culinario, l’ortaggio iniziò comunque a comparire frequentemente nei trattati di cucina, dove si spiegava anche come trinciarlo, e la stessa regina Caterina de’ Medici ne divenne una sua estimatrice.

Con il passare degli anni divenne popolare di pari passo alla sua diffusione: nel 1557 il Mattioli nei suoi “Discorsi” scriveva che “la polpa dei carciofi cotti nel brodo di carne si mangia con pepe nella fine delle mense e con galanga per aumentare i venerei appetiti”.

Nel 1581 Montaigne, per descrivere il modo di mangiare le verdure da parte negli degli italiani, durante il suo Grand Tour annota che: “in tutta Italia vi danno fave crude, piselli, mandorle verdi, e lasciano i carciofi pressoché crudi”.

La sua fama non conobbe sosta fino ad arrivare ai giorni nostri. I diversi tipi di carciofo possono distinguersi dalle spine che possono, o meno, essere presenti e dal colore che può essere verde tendente al grigio o violetto.

La produzione del carciofo va da novembre a giugno. Il requisito fondamentale del carciofo è la freschezza, quindi al momento dell’acquisto è bene scegliere carciofi pieni, sodi, con foglie dure e ben serrate. Preferire gli esemplari più piccoli con le punte ben chiuse. Il gambo deve essere duro e senza parti molli o ingiallite. Se il gambo è lungo ed ha ancora delle foglie attaccate, controllare che siano fresche.

Per la conservazione si consiglia: se sono molto freschi ed hanno il gambo lungo di immergerli nell’acqua come si farebbe con i fiori freschi. Per riporli in frigo si devono togliere le foglie esterne più dure e il gambo; lavati e ben asciugati vanno messi in un sacchetto di plastica o un contenitore a chiusura ermetica: così si conserveranno per almeno 5-6 giorni.

Si possono anche congelare dopo averli puliti e sbollentati in acqua acidulata con succo di limone, lasciati raffreddare e sistemati in contenitori rigidi.

Il carciofo, viene definito un guerriero dal cuore tenero, grazie alle molte virtù organolettiche che da sempre, a tutt’o oggi, gli vengono attribuite.

Carciofo alla giudia

A Tarquinia il nome giudia è impropriamente detto in quanto si definisce tale il carciofo in tegame.

Ingredienti:

  • 8 carciofi cimaroli, ma vanno bene anche i braccioli
  • Aglio fresco
  • Nepitella ( mentuccia)
  • Sale e pepe
  • Olio di oliva
  • limoni

Preparazione:

Pulire e mondare i carciofi, metterli in acqua e limone. Scolarli e aprirli leggermente, dentro ad ogni carciofo mettere un pezzetto di mentuccia, di aglio, sale e pepe. Metterli in un tegame con la parte del gambo rivolta in alto. Aggiungere abbondante olio e cuocere per circa 40 minuti con il coperchio. Trascorso questo tempo verificare la cottura e semmai cuocere ancora per un poco.

 Carciofi fritti

Occorrono dei carciofi teneri a cui vanno tolte le foglie dure e tagliato l’apice: porli in acqua acidulata con limone e sciacquarli, asciugarli, tagliarli a spicchi uguali, passarli in una pastella non consistente e friggerli in abbondante olio e.v. caldo, scolarli, passarli su carta assorbente, salare e servire caldi.

Rubrica a cura di Vittoria Tassoni Esperta di Cultura Gastronomica