Ve lo do io il Mondiale! Amaro calcio…

di Leo Abbate

brazil_1532436iA ogni campionato del mondo, la stessa storia. Saranno meglio le squadre sudamericane o le europee? Dilemma purtroppo, superato. Due diverse scuole, oramai accomunate da un unico irreversibile destino. Abbandonare la poesia del gioco per diventare industrie, macchine produttrici di soldi. Per tutto il campionato disputato fin qui, ogni volta che abbiamo sentito parlare di “passaggi”, abbiamo dovuto amaramente costatare che non ci si riferiva a lanci di pallone millimetrici in direzione del proprio compagno di squadra ma a imminenti trasferimenti di miliardari o potenziali tali, da una multinazionale all’altra.

Chi gioca per giocare, si diverte e giocando fa divertire chi assiste al gioco. Secondo un’attendibile ricerca scientifica di qualche anno fa, lo spettatore di una partita di calcio produceva la stessa quantità di testosterone dei giocatori in campo. Oggi a farla da padrone è sopra tutto il tedio. E non potrebbe essere altrimenti. Con il gioco, con la voglia di divertire, di stupire e di stupirsi, è morto anche l’estro calcistico. Oramai, prevale solo la prepotenza atletica, che cammina a braccetto con l’interesse economico ed è condita da atteggiamenti egocentrici e “gigioneschi” che si manifestano fuori dal campo. Un piccolo calciatore con le gambe indebolite e deformate dalla poliomelite come Garrincha, oggi non SAREBBE POTUTO DURARE NEANCHE UN MINUTO. Eppure, commosse le folle di tutto il mondo con le sue giocate imprevedibili e geniali. Ancor oggi resiste nella classifica dei dieci migliori giocatori del mondo ed è considerato il miglior dribblatore di tutti i tempi.

Nei mondiali del 1950, Tomas Soares De Silva, detto Zizinho, durante una partita contro la Juogoslavia, si presentò in area di rigore, con una finta fece fuori un difensore e con un tiro millimetrico, imparabile, segnò. L’arbitro, prendendo una clamorosa e inspiegabile cantonata, annullò la rete. Dopo pochi minuti, Zizinho raccolse un passaggio nella stessa posizione, entrò in area dalla stessa parte di prima, con la medesima finta fece fuori lo stesso difensore e con un tiro che era l’esatta fotocopia del primo segnò nel medesimo angolino un gol identico al primo. L’arbitro comprese che, se lo avesse annullato di nuovo, Zizinho lo avrebbe risegnato un’altra volta, e un’altra ancora. Circondato dal rispettoso silenzio dei giocatori jugoslavi, convalidò la rete.

Un calcio sparito, fatto di sentimenti e di rispetto: i giocatori parlavano con il pallone, lo pregavano di entrare in porta. Maradona se lo portava a letto, a quattordici anni. C’erano grida d’amore e di passione là dove ora regna il silenzio. E la noia mortale. Statemi bene.