Tarquinia, visita guidata al Santuario di Gravisca

Riceviamo e pubblichiamo

CFS Gravisca 28 settembre 1Venerdì 21 agosto alle ore 18.30 è in programma la visita che porterà “Alla scoperta del Santuario di Gravisca e del mito di Adone” con il Direttore degli scavi Prof. Lucio Fiorini dell’Università di Perugia. L’appuntamento è presso l’Assonautica Provinciale di Viterbo in località Porticciolo.

Alcune notizie sul sito archeologico. Ricordata soprattutto da fonti geografiche (Plinio, Nat. hist., iii, 51; Mela, ii, 4, 72; Tolemeo, iii, 1, 4; Strabone, v, 225-26; Itiner. Marit., p. 498 s.; Tab. Peutingeriana; Anonimo Ravennate, iv, 32=v,2), G. venne fondata nel 181 a.C. come colonia civium Romanorum con assegnazione di 5 iugeri per colono (Livio, xl, 29, 1; cfr. Velleio, i, 15 e Inscr. Italicae, xiii, 3, 70), rinforzata forse in età augustea (Liber Coloniarum, p. 220 Lindsay), ascritta alla tribù Stellatina, la stessa di Tarquinia, cui rimase sempre in qualche modo legata (cfr. CIL, xi, 3367).

Presso la colonia passava la via Aurelia collegata alla città da una strada menzionata dal Digesto (xxxi, 30); le sue mura sono ricordate da un prodigio del 176 a.C. (Livio, xli, 16). Virgilio (Aen., x, 184; cfr. Macrobio, Saturnalia, v, 15, 4) la ricorda fra gli auxilia etruschi di Enea e, per imitatio Vergiliana, il nome di G. passa nel catalogo di Silio Italico (viii, 475). Scarsissime sono le attestazioni di magistrati (Année épigraphique, 1972, 181 e 183) e di culti (ibid., 1972, 180). Probabilmente distrutta dai Goti nel 408 d.C., la città, già πολίχνιον ai tempi di Strabone, apparve desolata nel 416 (o 417) a Rutilio Namaziano; tuttavia nel 504 è ancora attestata la presenza di un vescovo, mentre in età medievale fu porto dell’importante città di Corneto, rinnovato con il nome di Porto Clementino nel secolo 18°.

Dal 1969 al 1979 vi sono stati condotti scavi archeologici che hanno messo in luce ampi tratti della colonia romana e soprattutto resti di un insediamento etrusco, vissuto tra la fine del 7° secolo a.C. e gli inizi del 3° secolo a.C. (forse fino al 281 a.C., probabile data della conquista romana del territorio, dove fu poi dedotta la colonia marittima). Della colonia sono stati riconosciuti resti di tre decumani delimitanti insulae di 1/2 actus di larghezza, ambienti termali, depositi e alcune abitazioni, una delle quali di particolare ricchezza e di epoca tardo-antica, donde proviene un tesoretto di 174 solidi aurei della seconda metà del 4° secolo d.C., probabile testimonianza del passaggio dei Goti di Alarico. La colonia, di cui si è forse riconosciuto anche un lungo tratto delle mura in opera incerta con restauri in opera reticolata, sorse solo su parte del precedente insediamento etrusco, corrispondendo forse alla zona centrale di questo; larga parte dell’abitato preromano giace dunque all’esterno del perimetro della colonia. In quest’area, circa 100 m a sud dei resti della colonia, sono state scavate rovine di un importante santuario sorto in funzione dell’emporion arcaico e del porto, forse situato proprio a ridosso del santuario medesimo, nell’area delle saline. Da questo santuario provengono numerose iscrizioni greche ed etrusche (una anche latina, dell’inizio del 3° secolo a.C.), che gettano nuova luce sul commercio arcaico tra Greci ed Etruschi e sulla formazione della società locale attorno al santuario.

Intorno al 600 a.C. ebbe inizio la frequentazione greca dell’area sacra con un culto sub divo; pochi anni più tardi (580 circa) venne fondato un sacello che dediche etrusche e greche attestano consacrato ad Afrodite-Turan. Il culto sembra ispirato ai modelli dell’Afrodite-Ishtar di Cipro, come attestano due statuette della dea raffigurata come promachos, evidentemente la Afrodite armata di numerosi culti greci di origine orientale (Sparta, Corinto). I doni del sacello sono connessi con il mundus muliebris o con le libagioni. Ad Afrodite si affiancano, ma senza edifici di culto propri, altre due dee, Hera, cui si riferiscono numerosissime dediche di mercanti ionici, assimilata a Uni, e Demetra, che possiamo considerare il corrispondente greco di Vei.

La frequentazione appare esclusivamente greco-orientale, di mercanti in prevalenza samii, milesii ed efesini, fino agli ultimi decenni del 6° secolo a.C.; alcuni dei dedicanti sono noti anche a Naucrati, mentre una dedica sembra posta da un servo, indizio di trasporti effettuati da ceti dipendenti, e, verosimilmente, dell’esistenza di forme di asylia. In questo contesto non è da escludere anche l’esistenza di hierodoulia, con pratiche di sacra prostituzione. Alla presenza grecoorientale si sostituisce quella, di breve durata, di Egina, documentata da alcune dediche ad Apollo, tra le quali fa spicco quella di uno dei più grandi mercanti greci del tardo arcaismo, Sostrato di Egina, ricordato per le sue fortune dallo stesso Erodoto (iv, 152).

Alla fine del 6°-inizi del 5° secolo a.C. il santuario venne ricostruito secondo una pianta monumentale, con un sacello posto al di sopra del precedente dedicato ad Afrodite, e con una vicina piazza pavimentata recante una piccola cassa di nenfro per le pratiche del culto di Adone. La frequentazione appare ora soltanto etrusca e le dediche molto povere, non senza rapporti con le pratiche dei Thesmophoria del mondo greco-coloniale. Alla fine del 5° secolo a.C. tutto il complesso fu ricostruito con due sacelli a ovest di una strada, e uno, con l’adiacente piazza, a est; caratteristiche degli ex voto e degli apprestamenti cultuali consentono di attribuire i sacelli a ovest a Uni (quello a nord) e a Vei (quello a sud), mentre il sacello a est, sempre costruito sul primitivo sacello di Afrodite, apparterrebbe a Turan.

Con la conquista romana, la vita del santuario si spense quasi del tutto, tranne che nella zona dedicata alla celebrazione delle feste di Adone, dove si sono rinvenute tracce di frequentazione della prima epoca imperiale, tra le quali un fondo di ceramica sigillata con dedica ad Adone, e alcune tombe alla cappuccina. Tuttavia già nel 1° secolo d.C. il luogo doveva essere deserto, tranne la strada che ha continuato a mantenere in vita il proprio tracciato almeno per gran parte dell’evo antico.