“Perché no?” Elogio di un uomo timido

di Luigi De Pascalis

Giacomo E(milio) Carretto, come amava firmare i suoi libri, se n’è andato in punta di piedi com’era vissuto. Abitava a Tarquinia da più di vent’anni ma lo conoscevano in pochi perché non sgomitava per avere incarichi e odiava parlare in pubblico. Eppure era una delle persone più colte che io abbia avuto la fortuna d’incontrare.

Giacomo, tanto per dire, è stato tra i pochissimi italiani non laureati a vedersi offrire una cattedra universitaria e l’unico ad averla rifiutata, preferendo fare il bibliotecario e il collaboratore di una rivista di islamistica ma non tralasciando di contribuire alla stesura di una monumentale opera sull’Islam. Tra i suoi pregi c’era quello di avere una biblioteca di circa quindicimila volumi, fra cui alcune cinquecentine, le prime opere a stampa. E, in tutti gli anni in cui ho avuto il privilegio di essergli amico, non mi è mai capitato di chiedergli notizia di un libro, anche il più astruso, e non sentirmi rispondere: “Ce l’ho, passa a prenderlo”.

Non ho mai visto Giacomo tentare d’imporre la propria opinione a nessuno; anche se qualche commento lo faceva, sorridendo della protervia e dell’ignoranza umane. Nè l’ho mai visto rifiutare di dare una mano a chiunque gliel’abbia chiesta che fosse laureando alle prese con la tesi, accademico in carriera o, come me, romanziere in libera uscita tra le paludi della Storia.

La nostra amicizia è cominciata circa quindici anni fa. Stavo scrivendo il saggio La porpora e la penna, su Adriano Castellesi da Corneto e m’imbattei in uno strano personaggio, il principe Gem, fratello del sultano turco e prigioniero a Roma di papa Borgia: personaggio su cui trovai troppo poco per scriverne. Avevo bisogno di confrontarmi con uno studioso di cose orientali ma non sapevo chi, come, dove. Fu il compianto Enzo Bocchio a indirizzarmi da Giacomo che mi accolse con cordialità, cortesia e mi fece dono di un libro scritto da lui, proprio sul principe Gem. Un ottimo inizio! Non tardai a scoprire che Giacomo era ombroso e generoso, leale e per niente malevolo, riflessivo e poco incline alle chiacchiere, così diventammo amici.

Da quel momento e per tutti questi quindici anni, salvo gli ultimi mesi in cui non ce la faceva più a camminare, non c’è stato giorno in cui, a una certa ora del pomeriggio, io non gli abbia telefonato per proporgli una passeggiata. La risposta, con qualunque tempo, per tutti questi quindici anni, è stata sempre la stessa: “Perché no?”. Nè sì, né no ma perché no. E questo dice tutto sul carattere del personaggio. La timidezza lo spingeva a chiudersi, la curiosità lo spingeva ad aprirsi. Dunque: Perché no?

Fino a qualche anno fa avevo un cane e uscivamo noi tre, tutti e tre in silenzio, tutti e tre poco inclini ai convenevoli. Qualche volta facevamo il giro delle mura, qualche altra andavamo al mare, qualche altra ancora, soprattutto nei primi tempi, andavamo con la macchina in campagna e poi a piedi. Di cosa parlavamo? Magari dei massimi sistemi, magari di un libro, o magari di niente. Aspettavamo semplicemente che il sole tramontasse mentre il cane annusava in giro e poi tornavamo indietro. Negli ultimi anni il cane non c’era più e noi facevamo un giro più corto, quindi andavamo a La vita nova per un aperitivo, ma soprattutto per curiosare tra le novità. Ci sentivamo a casa, lì. Né la sua né la mia, ma a casa. La casa di chi ama i libri. A un certo punto Elena o Lisa venivano al nostro tavolo con le braccia cariche di volumi appena arrivati ed era bellissimo spulciarli assieme, io e Giacomo, anche se sulla letteratura avevamo opinioni leggermente diverse. Poi a casa, per la cena. Tutte le sere, per anni.

E adesso mi si stringe il cuore al pensiero che continuerò a fare le stesse cose, ma non avranno lo stesso sapore. Un’amicizia fatta di poche parole, molti libri e qualche quieto silenzio è difficile da replicare.

Be’, amico mio, fai buon viaggio. E porta con te un bel libro che magari il paradiso, se c’è, è un po’ noioso! Che dici? Ah, già: “Perché no?